Animali da Bar
Massimo Bertoldi, «Il Cristallo».
Nasciamo e moriamo. Bene, lei non crede che, forse, bisognerebbe dare un minimo di importanza a quello che succede nel mezzo? E quella roba lì si chiama vita, caro amico. Vita!
L’affermazione è di Colpo di frusta, un uomo così soprannominato per le conseguenze dalle violenze domestiche subite da parte della moglie piuttosto aggressiva; inoltre è un buddista inetto e impegnato nella lotta per la liberazione del Tibet. Soprattutto è un assiduo frequentatore di un bar squallido e lascivo in cui si ritrovano, quasi a formare una comunità, anime solitarie tormentate: sono gli Animali da Bar come recita il titolo della commedia di Gabriele Di Luca.
In questo microcosmo di umanità disperata ed emarginata agiscono altri personaggi emblematici e fortemente connotati che ruotano intorno alla barista Mirka, donna ucraina dal passato difficile e dal presente altrettanto complicato. Come non si fa mancare frequenti e abbondanti bevute di vodka, così arrotonda lo stipendio affittando l’utero. Per lei il destino non sarà felice. Il proprietario del fatidico bar è un vecchio malato, razzista e misantropo, tanto che nel testo la sua voce risulta posizionata fuori campo.
Altro personaggio indicativo, nonché sorta di epicentro narrativo, è Swarovski, uno scrittore nichilista alle prese con la stesura di un improbabile romanzo dedicato alla Grande Guerra che poi si scoprirà essere lo stesso copione di Animali da Bar, in cui si riveleranno le prospettive esistenziali dei protagonisti. La sua passione per i drink, quale segno di dissoluzione, lo avvicina idealmente a Charles Bukowski, dal quale deriva la storpiatura del suo nome.
Il senso della ricerca di sé caratterizza anche il profilo di Sciacallo, zoppo bipolare che svaligia le case ed è animato da una tensione particolare: riuscire a trovare la migliore forma di suicidio. Manifesta disturbi altrettanto inquietanti l’imprenditore cocainomane di pompe funebri per animali di piccola taglia. È infatti un ipocondriaco al quale non manca il desiderio di costruire una famiglia anche se il futuro sarà per lui la condanna alla solitudine.
Tutti questi soggetti cercano di dimenticare quel qualcosa da cui provare a riscattarsi e ricostruirsi. In questa tana-bar si animano dialoghi umani e folli, si vivono improbabili amori, si cullano viaggi mentali, si incrociano manifestazioni di debolezza e rabbia. Tra delicata comicità e velata denuncia sociale il testo di Di Luca si avvicina, anche nella struttura linguistica, al cosiddetto filone dei Nuovi arrabbiati di scuola anglosassone e irlandese rivisitati con il filtro antropologico e culturale italiano. Ma la sostanza non cambia: si racconta con umana sensibilità e senza retorica una situazione di disagio prodotta e connaturata al sistema. E questo non è poco.